Edilizia e movida: un’accoppiata che fa gola alle mafie. Con questo assunto Terre di mezzo e “Codici Ricerche” hanno deciso di indagare il vissuto dei commercianti dell’Isola con un questionario anonimo, per cercare di conoscere le loro paure e la loro percezione sulla presenza delle organizzazioni criminali in quartiere.
I risultati sono stati raccontati e discussi martedì scorso alla libreria Les Mots, insieme al giornalista Lorenzo Bagnoli, che ha condotto l’indagine insieme ad un gruppo di scout e abitanti dell’Isola, a Daniele Cologna dell’agenzia di ricerche sociali “Codici“, che ha contribuito alla stesura del questionario, a Beatrice Uguccioni del CdZ 9, finanziatore del progetto, e David Gentili del Comitato Antimafia di Milano. Andranno a costituire la “mappa” dei vissuti dei commercianti milanesi che Terre di Mezzo sta tracciando passo dopo passo in tutte le zone di Milano, dai Navigli a via Padova.
Dai numeri emerge un quartiere “a conduzione familiare”, dove le attività sono storiche (13 anni di vita in media) e i commercianti over 45, con poco spazio per le donne e per gli under trenta. Dati che possono sorprendere in un quartiere che negli ultimi anni ha visto trasformazioni importanti sia nella composizione sociale degli abitanti (la cosidetta gentrification) sia dal punto di vista dell’apertura di nuovi locali e della vita notturna. Anche se a conti fatti mancano dai questionari molti dati importanti, come ad esempio la distinzione tra piccole attività commerciali e locali notturni, l’appartenenza di più attività ad uno stesso proprietario, i cambi di gestione e così via.
Con la crisi economica i commercianti si trovano senza liquidità e con le banche che non li aiutano. I dati parlano di un 53 per cento che ha aperto con i risparmi di una vita, mentre solo il 26 con l’aiuto delle banche. Nessuno si è mai rivolto ad usurai e non lo farebbe nemmeno in caso di immediata necessità di denaro: “Preferiamo fallire piuttosto che finire nei giri sbagliati”. Ad uno è capitato di dover pagare un tasso di interesse esagerato, ad altri due di assoldare soggetti in cambio di protezione e a tre di essere costretti ad acquistare servizi di cui non avevano bisogno, anche se nessuno arriva a dire apertamente che si è trattato di episodi legati alla mafia. Eppure è di ieri la notizia che un centro estetico è andato a fuoco nella notte, in via Abbadesse, sembra ancora una volta per cause dolose.
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Mancano soprattutto i dati delle nuove attività aperte da giovani stranieri, sempre più numerose in zona e pare anche le più esposte al rischio del raket, così come anche le più restie a rispondere alle domande. Ma anche l’impressione che abbiamo avuto noi partecipando un pomeriggio alla somministrazione dei questionari è che il problema più grave sia il blocco dei finanziamenti da parte delle banche e la stagnazione dei consumi che impone una politica del “tirare a campare”. Se il denaro non circola le attività chiudono o vendono al primo offerente, favorendo l’infiltrazione della criminalità organizzata e il giro di riciclaggio del denaro sporco. Come fare per interrompere questo circolo vizioso?
Molti sperano nella chiusura dei cantieri e sul fatto che piazza Gae Aulenti e con lei Corso Como inizino a gravitare anche sull’Isola, ma l’arma è evidentemente a doppio taglio: se in qualche modo gli affari possono trarne vantaggio, è facile anche che da Corso Como arrivino giri poco “virtuosi”. Più efficace potrebbe risultare la solidarietà del commercio locale, come già è stato sperimentato con il Festival delle librerie di zona, e l’attivismo delle associazioni dei commercianti (importante la loro presenza l’altra sera a Les Mots). Ci è piaciuto anche l’appello recente di una libreria di quartiere su Facebook per scongiurare l’apertura di un nuovo negozio di sigarette elettroniche nella vetrina a fianco.
Infine molto possono fare i cittadini. Alcuni rappresentanti di Libera e dei Comitati di zona hanno proposto l’apertura di nuovi “presidi” autogestiti e centri di ascolto per tenere alta guardia su queste problematiche. Sicuramente il progetto di giornalismo partecipato sperimentato in questo caso da Terre di Mezzo, dove i cittadini hanno assunto una parte attiva nella ricerca della notizia, può costituire un primo passo per farli diventare, almeno un po’, sentinelle di legalità.