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Le origini

L’Isola è una gloria della vecchia Milano: ha una sua storia, una sua tradizione che né i bombardamenti dell’agosto 1943 né le trasformazioni del dopoguerra hanno potuto cancellare.  La maggior parte del rione è stato costruito tra il 1860 e il 1920, allargando il vecchio borgo, e aveva una sua fisionomia ben definita, delimitata dal terrapieno della ferrovia, che in parte ancora la circonda, e dal muro de cimitero della Moiazza, ora piazzale Lagosta, nel quale riposavano molte insigni personalità: Melchiorre Gioia, Cesare Beccaria, e il ministro Giuseppe Prina, assassinato dal popolo in rivolta durante le rivolte antiaustriache  il 20 aprile 1814. Isolata dalla città alla quale era collegata solo dal ponte di via Farini, esistente agli inizi del secolo scorso e soprannominato “ponte della Sorgente” per via delle risorgive che caratterizzavano la zona prima della realizzazione dello scalo Farini e della Dogana, la fantasia popolare le dette quel nome.

Fino all’ultima guerra era divisa in aree diverse, rigidamente separate da grandi attrezzature urbane come le linee ferroviarie e gli scali merci,  la vecchia stazione e il canale della Martesana, le grandi fabbriche: un’area al confine tra la città e la campagna, città di casamenti e corti, con le attività produttive celate nel retro o nel ventre delle case. Questo isolamento e la presenza del vicino scalo merci, oltre a quella di industrie storiche come la Tecnomasio Brown-Boveri, l’Elvetica e la Pirelli, hanno reso il quartiere quasi immediatamente una zona di abitazioni operaie. Qui si sono tessute le prime trame della solidarietà e della coscienza operaia, qui si sono formate le prime e cooperative. In via Angelo della Pergola vi era la prima sezione milanese del partito socialista, inaugurata da Mussolini nel 1911, dove a fianco di Carlo Marx stava un cristo corcifisso vestito di rosso, come a significare che il Cristo fosse un grande socialista. L’Isola era un quartiere popolare e operaio non solo in senso sociologico, vi si era formata e arroccata una cultura: come una sorta di patria  dove i caratteri fisici e edilizi erano divenuti segno di riconoscimento e identità rispetto al mondo urbano circostante.

La zona ha vissuto modifiche profonde nel secondo dopoguerra, determinate dalla decisione di costruire qui il nuovo centro direzionale, dalla progressiva espulsione delle fabbriche e dalla definitiva copertura della MArtesana e la riforma del sistema ferroviario, che hanno liberato vaste aree e messo in rapporto realtà urbane tradizionalmente diverse. Ma la trasformazione è rimasta incompiuta e la zona registra la violenza delle contraddizioni. Ogni piano urbanistico vi ha deposto pezzi dispersi che rendono difficile decifrarne l’ordine: pareti di vetro, palazzotti per uffici e modesti grattacieli precocemente invecchiati ed immersi in un realtà estranea restano come relitti del mito provinciale di una città americana.

Tali trasformazioni non sono consistite solo in un processo di sovrapposizione edilizia, ma in un mutamento complessivo, culturale e antropologico.  I nuovi palazzi hanno nelle fondamenta le lunghe lotte di resistenza della gente dell’Isola, che ha sempre rifiutato l’idea di essere deportata nella nuova periferia o di essere espulsa dalla città. Da diversi anni si sono sviluppate ampie discussioni e prese di posizione da parte di partiti politici, di circoli culturali, di comitati di quartiere, di istituti di alta cultura, del consiglio di zona, persino gruppi di studio di diverse facoltà universitarie sull’architettura e la geografia umana. In tutti si esprime la volontà di recuperare questo rione per i suoi abitanti, intendendo con ciò il mantenimento dei ceti popolari nella zona, con la formazione di comparti edificati con i servizi sociali e le attrezzature urbanistiche, nell’interresse del giusto progredire di tutta la città.

Demolito, incastonato ed acccerchiato da nuove costruzioni, l’antico quartiere ha perduto in gran parte l’antica identità popolare. Oggi l’Isola è soprattutto zona di ristoranti, negozi alla moda, di happy hour e locali radical chic. Ma soprattutto è il sito di una delle più grandi progetti di riqualificazione urbanistica (o cemintificazione selvaggia a seconda dei punti di vista) che sta interessando la città di Milano: enormi grattacieli vetrati e torri di cemento si stagliano prepotenti affianco al disordine di edifici vuoti, case degradate e cortili dove ancora resiste la vita. L’Isola conserva il fascino di un mondo che si disgrega: alcuni ne subiscono la suggestione, sforzandosi di vederlo come alternativa alla milano violenta e commerciale del centro direzionale, del palazzo della Regione e delle grandi operazioni specultive. Per altri è solo un altro dei quartieri più trendy della Milano da bere.

 

G. Motta, O. Manunza, D. Vitale in “Milano. Zona 2. Centro Direzionale Greco Zara”, Comune di Milano 1987