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Quando all’Isola c’erano le botteghe

Febbraio 28th, 2021 by milanoisola Categories: Come eravamo, in evidenza No Responses

Quando ero un bambinetto nel solo isolato che va dalla Piazza Santa Maria alla Fontana a Piazza Spotorno si contavano una ventina di botteghe distribuite su tre palazzi

, ovvero i numeri 28 e il 19 della Thaon e il 39 di viale Stelvio, che però ha da sempre i negozi sulla Thaon, gli altri palazzi al n. 21 (la fonderia napoleonica) al n.8 della Piazza (ricostruito negli anni ‘60) e la Chiesa, non ne avevano.

Quasi tutte le attività erano a una sola luce ovvero una sola vetrina, con alcune eccezioni.

AL N. 28, il mio palazzo, potevamo trovare, partendo dal portone d’entrata e risalendo la via le seguenti botteghe:

CASALINGHI, si chiamava “Tutto per la casa” due vetrine sulla strada e una all’interno del palazzo (mai aperta poi murata). Un negozio gestito fino al 1977 dai due fratelli Siribelli (che abitavano al secondo piano), in cui si poteva trovare di tutto e di più, dallo strofinaccio, al giocattolo per bambini, dal cavatappi al sapone di Marsiglia. Uno di quei bazar classici di quegli anni che ormai si sono quasi persi in città e che forse si ritrovano nei paesi di montagna.

Potrebbe essere un'immagine raffigurante monumento e attività all'aperto

OMBRELLEE, (ombrellaio) questa bottega, in cui si vendevano pure borse, aveva una sola vetrina ma un lungo corridoio nel retrobottega che fungeva da magazzino-laboratorio, era anche questa a gestione famigliare (Fiorenza) e lo è stata fino al giorno che venne chiusa. Oggi sembrerà strano che un negozio che vendeva ombrelli fornisse pure il servizio di riparazione, ma ai tempi i “paracqua” erano, come del resto la gran parte dei prodotti, fatti per durare ed erano economicamente riparabili, ovvero, il costo del mantenimento in funzione era lontanissimo dal costo per ricomprarlo. Chiuse nel 1977.

BAR e BILIARD, non ricordo il nome di questo bar di quattro vetrine, ma era il locale più grande di questo isolato e aveva un biliardo. Prima dell’ultimo proprietario, il signor Luigi, che gestiva il locale con moglie e figlia, ne aveva visti altri che io non rammento o ricordo vagamente, ma di certo gli ultimi anni della sua esistenza mi conobbero come assiduo frequentatore, perché in gioventù avevo la passione per il tappeto verde e i birilli.

A quei tempi nessuno faceva caso a che età avevano i frequentatori dei bar, non era raro trovarci anche ragazzini di dodici anni che non disdegnavano bere un bicchiere di vino o qualcosa di più forte. Questo bar era frequentato da molti giocatori di carte, da alcuni perditempo, qualche piccolo delinquente e da giocatori di biliardo. Quando chiuse il bar nel 1972 avevo 18 anni possedevo una stecca mia che mi segui fino al 1980 anno in cui andai negli Stati Uniti e la lasciai in un bar in via Arese (dove un tempo c’era la Filocantanti), al mio ritorno non trovai ne lei ne il bar.

Potrebbe essere un'immagine raffigurante attività all'aperto

PIZZERIA ALLA FONTANA, non è un caso che le tre attività della parte destra della casa, sette luci in totale, chiusero quasi simultaneamente, al loro posto fu aperta nel 1972 (Dai fratelli Cheoedacci), per poi allargatasi fino al ‘77, la pizzeria più famosa della zona. Mi ricordo che per la prima settimana di apertura, dal 21 ottobre ‘72, tra le sei e le sette di sera venivano offerti assaggi di pizza sulla strada e la gente correva con tutta la famiglia a provarla.

Sul lato sinistro del palazzo scendendo la via avremmo trovato:

BAGÀTT (calzolaio), in origine era la portineria della casa, poi divenne un piccolo negozio di tessuti e infine un giorno, intorno alla fine degli anni ‘60, venne aperto un laboratorio di riparazione delle scarpe, un ciabattino insomma. Per anni un omino tranquillo e volonteroso, di nome Olindo, ha riparato scarpe, stivali e ciabatte a tutta la via. Non aveva orari fissi, mi é successo di vederlo lavorare di notte o al mattino presto sempre con la radio accesa a volumi rispettosi del prossimo, mentre di giorno si esibiva in lunghi pezzi canori ritmati dal battito del martello sulle tomaie o sui chiodi dei tacchetti. Smise l’attività alla fine degli anni ottanta.

OROLOGEE e OREVES, (orologiaio e orafo) della mia famiglia (Nava), mio nonno aprì congiuntamente a mio padre questo negozio rilevando la licenza da un precedente orefice-orologiaio nel 1955 e lo chiuse nel 1983. Mio nonno impararò il mestiere di orologiaio riparatore all’età di otto anni, lavorò come dipendente per trentadue anni, poi nel suo laboratorio in casa per alcuni anni fino a che non aprì il negozio dove mio padre assisteva i clienti mentre lui riparava gli orologi. Si è sempre calcolato che un buon orologiaio poteva mantenere una famiglia con due figli riparando 13 orologi al giorno. Mio nonno Piero lavorò per 70 anni, negli anni passati sotto padrone non gli venne versato neanche un centesimo per la pensione (cosa non rara a quei tempi). Chiuso il negozio nel ‘83 i locali videro il susseguirsi di diverse attività, oggi sono integrati come spazio dell’adiacente bar.

OST (l’Oste) e TABACCHEE (tabaccaio), da che ho memoria questi locali sono sempre stati un bar (bottiglieria) e tabaccheria, in principio di due vetrine, in un angolo del bancone la vendita di tabacchi nell’altra la mescita. Ho molti ricordi di questo bar e dei suoi clienti e a quei tempi ho visto molte persone giocare a la concia (gioco vietato), e perdere fortune. Altri, normalmente muratori bergamaschi, passare ore a giocare alla morra, (gioco proibito ma sopportato), che veniva “urlato” in dialetto orobico da fine lavoro a dopo cena.

Qui ho imparato l’usanza tutta milanese del “giro” ovvero offrire a turno una bottiglia (di rosso normalmente) tra i quattro giocatori di scopone.

Spesso un carretto spinto a mani da un ancioatt, (venditore di acciughe, anche detto “ciuee”) si fermava davanti al bar a vendere saracche e bruscûni (acciughe sotto sale e sottaceti) gli avventori compravano e il barista era contento, perché questo cibo si sa “chiama” il vino. In questo bar ho visto vendere l’ultima bottiglia di “champagne de la baleta” (gasusa), una gazzosa venduta in bottiglietta apribile schiacciando una biglia di vetro posta a tappo, la pallina (baleta) si fermava in una strettoia del collo della bottiglia.

È stato il primo bar della via a mettere la TV e mi ricordo di averci visto le finali di judo pesi massimi alle olimpiadi di Tokio del 1964. Da quando ho memoria passarono come osti in questo bar diverse famiglie, il primo che mi ricordo era Attilio, poi vennero Tonino che con la famiglia abitava al secondo piano, Michele con moglie e due figlie, Rino con la moglie e ora Stefano.

FRUTTIROEU, (fruttivendolo) o VERSERAT (ortolano) da che ho memoria questo localino di una luce più retro è stato l’orto della via. Gestito da sempre da una famiglia di pugliesi fino a quando dieci anni fa Nunzio se ne è andato in pensione. Da ragazzino mia madre mi mandava a comprare frutta e verdura che veniva venduta al chilo in cartocci di carta giallo senape chiamati “pedriò” (imbuto in italiano) confezionati dallo stesso fruttivendolo. Spesso andavo a comprarci la “dote” ovvero l’insieme di verdure per fare un minestrone.

TINTURA (tintora), una piccola bottega di lavanderia con una sola macchina per lavare e una grossa asse da stiro a vapore nel retro. Una signora milanese, Gina, la gestiva con grande professionalità e simpatia. Da lei passava i pomeriggi la nipotina Patrizia che crebbe come una di noi ragazzi del 28 tra i giochi nel cortile e le prime avventure romantiche, la signora se ne andò in pensione nel ‘71, e lasciò il negozio ad altri.

FORMAGGEE, (formaggiaio) una piccola bottega lunga e stretta che vendeva solo formaggi, niente di confezionato, tutto tagliato e impacchettato al momento. Non era rara questa forma di rivendita specializzata, un po’ perché all’epoca le licenze erano strettamente per genere di vendita, e un po’ perché la gente era abituata alla vendita “specializzata”, Rino, il proprietario del negozio non si sarebbe mai sognato di vendere altro che formaggio.

Fu da lui che vidi la prima volta compilare il “libretto”, un libricino personale dove si segnavano i conti della spesa e si pagavano a fine settimana… il giorno di paga. Una forma arcaica di mutuo soccorso.

Seguendo la via in uscita fino in piazza Spotorno trovavamo altre botteghe:

BUSECCHEE, tradotto letteralmente trippaio (in questo caso una signora). Si trattava di una bottega che vendeva esclusivamente trippa, pulita in una grande vasca di acciaio proprio davanti ai clienti e venduta al chilo. Certo un negoziante oggi non camperebbe vendendo solo trippa, ma al tempo dobbiamo pensare che era uno dei piatti più comuni e poveri consumati dalle famiglie meno abbienti, e non dimentichiamo che in zona Isola erano la maggior parte.

BECCHEE, (o macellar) letteralmente beccaio o macellaio, due vetrine e un grande retrobottegha con banconi per il taglio e grandi celle frigorifere. Gestito negli anni da diversi macellai poi, disgraziatamente perduta come attività. Nella via avevamo ben due macellerie.

POLIROEU (pollivendolo), bottega dove si vendevano polli, galline, capponi e uova. Altro negozio più che specializzato, abitudine questa che sopravvive (beati loro) in Francia.

LATTEE, (lattaio) qui si vendeva il latte della centrale di Milano, nei primi anni in bottiglia di vetro a rendere con il tappino in alluminio da schiacciare per aprire, poi arrivò la mitica confezione del “Tetrapak” un tetraedro in cartone e alluminio che stravolse le abitudini milanesi. Il lattaio che resistette a lungo si trasformo per primo in bar, quando le restrizioni sui generi permessi si allargarono e fu il primo a mettere un flipper nel locale.

CERVELEE, (salumiere) altro negozio a una luce, specializzato in insaccati di ogni genere e alcuni piatti preparati, specialmente sotto le feste natalizie come il patê alla milanese, i nervitt e l’insala russa.

PRESTINÈE, colui che si alza presto, ossia il panettiere. Posto all’angolo con piazza Spotorno contava di due luci e una piccola finestra sulla piazza. Un locale per la vendita e l’altro più il grande retro per i forni e magazzino. La panetteria è ancora li e in sostanza è rimasta la stessa. Al tempo sfornava al mattino michette di pane “comune” per i meno abbienti a prezzo calmierato e ogni altro tipo di pane: pane all’olio, biove, cremonese, bastoni, focacce, ciabatte, e dolci tra cui il pan de mej (miglio), el pan di mort e i Oss de mord (ossa da mordere).

AL N. 19, proprio di fronte a casa si trovavano partendo dal piazzale della chiesa verso l’esterno della via:

SPESIÈ (farmacista), antica farmacia che fino alla fine degli anni ‘70 aveva ancora uno splendido arredamento di legno e marmo con mobili a vetrina pieni di antichi vasi in porcellana e, sul retro, un laboratorio di farmacia che produceva medicamenti, unguenti e creme. Posta ad angolo col piazzale della chiesa contava tre vetrine, oggi si è spostata al numero 12. Ai tempi della mia infanzia fungeva anche da primo intervento sanitario sulla popolazione meno abbiente con consigli dispensati gratuitamente dai medici farmacisti.

BARBEE (il barbiere), una piccola bottega che durante il fascismo dovette togliere la insegna originale “coiffeur”, un francesismo non ammesso dal regime.

Fu poi sostituito dal SART (sarto) per uomo con un laboratorio sul retro e esposizione di stoffe sul davanti. Ho visto per anni il sarto, di origini napoletane se non sbaglio, cucire a mano le imbastiture seduto su una sedia di fronte alla porta d’entrata, nella classica posizione a gambe accavallate.

Dopo il portone trovavamo:

CARTEE, (cartolaio), bottega assalita dai bambini i primi giorni di ottobre (al tempo la scuola iniziava a san Remigio il primo ottobre). Quaderni, penne, gomme, matite, inchiostro e calami (sono così vecchio che ho usato il pennino per scrivere), libri e cartelle. Un mondo che piano piano sta scomparendo.

Prima di questa bottega i locali erano occupati da un negozio di articoli sportivi il cui padrone si dilettava pure a riparare le radio.

PASTEE (pastaio), un negozietto di una vetrina sola che da bambino mi faceva letteralmente impazzire. Era praticamente una grande cassettiera in vetro contenente decine di tipi di pasta secca dispensata a peso con palettine in alluminio in sacchetti di carta bianca, non mancavano gli spaghetti di varie taglie confezionati nella carta blu scuro.

Il negozio chiuse con l’avvento della pasta industriale venduta in cartone.

Più avanti negli anni negli stessi locali aprì una bottega un giovane STAMPADOR (tipografo), che ha prestato la sua preziosa opera per quarant’anni. Cominciò la sua attività con una piccola Macchina da stampa tipografica a piombo Heidelberg Stella. La sua bottega si chiamava TOB e in pochi anni si fece riconoscere in tutto il quartiere per efficenza, professionalità e simpatia. Ho avuto il piacere immenso di essere amico di Piero, proprietario e per anni unico lavorante della tipografia, che ormai tristemente non è più tra noi.

FONDEGHEE, (droghiere) in origine una rivendita al minuto di spezie, e altri generi coloniali (detti in passato droghe), generi alimentari e non che spaziavano dai fagioli in scatola alla carta igienica, dal dentifricio al pepe di Caienna. Gestito per anni da due fratelli (Bertarini) è stato il luogo dove comprare tutto ciò che serviva in cucina.

MARSCIAGNERA (merciaia), praticamente una merceria da cucito, tutto quello che serviva a sarte professioniste o casalinghe efficienti per riparare o produrre abiti. Gestito da una signora per anni, trasferitasi in seguito di fronte. Altro esempio di bottega specializzata, ne sopravvivono due col nome “Babilonia”, una in Via Borsieri e l’altra in Via Farini.

Nella via erano presenti anche tante altre botteghe con altrettanti lavori ormai persi: el Pigottee (colui che riparava le pigotte, cioè le bambole), el Sciostrè e Tencin (venditore di legna e carbonaio), el meccanich de auto (meccanico d’automobili), el Legnamee (falegname) el Cappellee (cappellaio), el Giurnalatt (edicolante), el Tornidor (tornitore), el Letrauto (elettrauto), el Carroccee (carroziere) e l’ Offelee (pasticciere).

El Moletta (foto milanofree)

Di tanto in tanto passavano con carretti, in bici o a piedi gridando il loro lavoro:

El Cadregatt (il ripara sedie), el Giasee (venditore di ghiaccio), el Castagnatt (il venditore di castagne), El Cavagnin (venditore di cesti di vimini), el Ciapparatt (accalappia ratti), el Moleta (l’arrotino), el Firunatt (venditore di collane di castagne) el Spazzacamin (lo spazzacamino), el Magnan (lo stagnino), el Strascee, (colui che ritirava stracci e materiale da scarto in cambio di altri oggetti), el Fere’ (Carpentiere), el Madonatt (madonnaro), el Barbapedana (era un musicista di strada che girava per le osterie e intratteneva i commensali con canzoni popolari e filastrocche).

Abitavano nella via e offrivano i loro servigi (normalmente al dià fuori degli orari di lavoro) el Trombee (l’idraulico), el Maister o el Magutt (muratore o il suo garzone), l’Infermera (infermiera, che faceva punture e medicazioni a domicilio) el Sbiachin (Imbianchino), e se capitava pure qualche Slandra (Prostituta).

Oggi tutto è cambiato, la dove c’era la drogheria troviamo Uroburo un laboratorio di gioielli, la tripperia è diventato una Petiscaria portoghese, il vecchio bar sotto casa si chiama That’s Milano, più avanti nella via abbiamo Ajo Blanco una Tapas spagnola, una gastronomie française, la deliziosa Midge Bakery & coffee, una falegnameria made in USA, un paio di Wine bar, innumerevoli bed-and breakfast e uno stuolo di bickers.

 

di Pierluigi Nava