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L’Isola sottosopra: due punti di vista a confronto

Luglio 29th, 2013 by milanoisola Categories: News No Responses

C’è chi ha la testa fra le nuvole e chi resta saldamente con i piedi per terra. Due libri appena usciti raccontano la genesi del Progetto Porta Nuova, dal punto di vista di chi l’ha fortemente voluto e di chi l’ha fondamentalmente subito.

Il primo è scritto da Manfredi Catella, Presidente e Amministratore delegato di Hines Italia SGR, la multinazionale che ha guidato l’operazione Porta Nuova, ovvero il demiurgo della nuova skyline di Milano. Il secondo racconta l’opposizione dal basso del quartiere Isola al progetto della Hines dal punto di vista di alcuni dei protagonisti di allora. Due modi diversi e contrapposti di guardare alle trasformazioni urbane che hanno cambiato faccia a questo quartiere, una ferita che non solo crea una linea di demarcazione strutturale tra “ricchi e poveri”, tra gli abitanti dei nuovi condomini extralusso e quelli delle vecchie case di ringhiera, ma anche una spaccatura insanabile fra i suoi tradizionali abitanti, da anni ormai divisi in fazioni pro e contro Porta Nuova. Tra chi punta molto in alto e chi vuole restare con i piedi per terra.

In effetti vista dall’alto l’immensa area una volta occupata dalle ferrovie milanesi, ora dismesse, appariva come una voragine di abbandono e degrado da riempire di idee, progetti e soprattutto di tanto cemento. Quando Catella racconta con giusto orgoglio la storia di Porta Nuova, che è in buona parte sua creatura, è così che la vede: un vuoto che attendeva solo di essere riempito, un “silenzio quasi assordante” che in qualche modo faceva preludere al desiderio del nuovo, una ferita che chiedeva solamente di essere risanata dopo un cinquantennio di progetti urbanistici fallimentari che erano riusciti soltanto a peggiorare la situazione. E con lui l’amministrazione comunale di allora, guidata da Luigi Albertini, che nel 2000 avviò le pratiche del grandioso porgetto “Città della Moda“.

La vista che si gode dai piani alti, da uno di quei lussuosi appartamenti al 27 piano dei Boschi Verticali o da un ufficio nella Unicredit Tower, è assolutamente impagabile. E’ difficile sottrarsi al fascino di un’opera così ambiziosa da rivoltare l’intero skyline di Milano, così importante da richiamare architetti da tutto il mondo e da realizzare il più grande cantiere d’Europa. E probabilmente ci crede veramente, Catella, in questo spirito di moderno umanesimo, in questa sorta di reincarnazione dell’uomo del Rinascimento che porta ordine, bellezza, modernità laddove c’erano solo polvere, degrado e rovine.

Dal basso non si può avere una visione d’insieme, lo sguardo non può abbracciare l’intera città. Anche se non lo dice apertamente è questo il massaggio che traspare dal libro quando spiega come ha affrontato l’opposizione all’Isola, accogliendo in parte le istanze dei movimenti che però erano “divise”, le lamentele della gente che “non sempre dice cose sensate” ed è “piena di preconcetti” ma che pure va ascoltata perché poi non si sa mai.

Piazza Gae Aulenti

E poi ci sono quelli che stanno al piano terra, che la città la vogliono vivere, non guardare da lontano. Quelli per i quali uno spazio vuoto acquista un significato solo se si riempie di persone anziché di cemento, che si affezionano al loro giardino anche se sgarrupato perché è l’unico nelle vicinanze, che reclamano spazi per i servizi comunali di base. Opere tanto più piccole che impallidiscono davanti alla “nuova Milano”, eppure così essenziali per chi ha bisogno di asili pubblici dove lasciare i figli mentre è al lavoro,  centri sportivi e biblioteche, luoghi ospitali in cui i genitori anziani possano non sentirsi soli quando gli altri sono al lavoro, un parco vicino casa per andarci a giocare, giacché anche mille alberi al 27° piano di una torre non possono sostituire un’aiuola al pian terreno. Di tutto questo a Porta Nuova non c’è traccia.

La storia di Porta Nuova è la trasformazione di un progetto nato sulla carta con finalità pubbliche, la Città della Moda appunto, in una grande impresa privata, dove anche i pochi servizi destinati ai comuni cittadini sono stati fagocitati da uffici, centri commerciali e interessi delle più varie associazioni. A questa visione dello spazio urbano si sono opposti per un decennio gli abitanti di un quartiere in lotta per conservare la propria identità. Per i quali la difesa di un edificio semi abbandonato, di una piazza o di un angolo di verde non aveva necessariamente un valore per sé stessa, ma significava proporre un modello di civiltà alternativo, che mette al centro le esigenze delle persone anziché scacciarle da un centro sempre più estraneo, inospitale e sinistro. Non a caso la piazza Gae Aulenti è sempre, checché ne dica la stampa nazionale, pressoché deserta. E’ qualcosa che si va a vedere, ma di cui nessuno s’impossessa mai veramente.

Bosco Verticale - rendering

I Boschi Verticali all’Isola

Sarà che anche noi siamo isolani e quindi di parte. Ma tutti in fondo sanno che la prosperità di una città e di un intero paese non si misura dall’altezza dei suoi palazzi, o dalle sue cubature di cemento, così come dai miliardi spesi per questo o quel progetto. Non a caso a Copenhagen, che pur essendo un centro relativamente piccolo è una vera capitale del design, dell’architettura ecosostenibile e vanta una qualità della vita invidiabile, non si vede un grattacielo neanche in lontananza. Sono i servizi che un comune offre ai suoi cittadini, le piste ciclabili, gli asili, i parchi che testimoniano la gioia di vivere in quel luogo piuttosto che in altri.  Tutto il resto è un prestigio che serve l’arroganza di pochi e la necessità di far cassa.

Milano dovrebbe essere molto di più di un bel panorama visto dall’alto. E dice bene Catella quando afferma che ogni progetto urbanistico è un’opera pubblica e riflette la natura profonda della nostra storia e di tutto ciò che noi siamo. Ma allora perché quando si arriva in piazza Gae Aulenti sembra a tutti di trovarsi a Dubai o a Kuala Lumpur?

 

Fight Specific IsolaMilano si alza