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La prima cosa bella

Marzo 14th, 2020 by milanoisola Categories: in evidenza No Responses

Va bene, faccio outing. L’altra sera, era l’ultima sera prima della Lombardia zona rossa, quella in cui centinaia di persone si riversavano nelle stazioni per abbandonare la nave prima che fosse troppo tardi, siamo andati a cena da amici. Ovvero, abbiamo attraversato la piazza dell’Isola in cui entrambe le nostre famiglie vivono e abbiamo varcato la soglia della legalità, in un momento in cui uscire di casa non era ancora formalmente “illegale”.

Sembrava una riunione della Carboneria, 6 persone, di cui due sotto i 6 anni, che in qualche modo sentivano di fare qualcosa di… sconveniente, semplicemente ripetendo dopo 2 settimane di isolamento quasi assoluto un gesto che fino a pochi giorni prima sarebbe stato normale. “Noi non usciamo di casa da due settimane”, “io sono andata in ufficio ma per carità, c’ero solo io”; ci preoccupavamo di sciorinare le nostre referenze, a giustificazione di quella specie di bravata, roba da pre adolescenza quasi.

Intorno a noi, incredibile a dirsi, il silenzio, si sentiva giusto il rumore di un paio di tacchi dall’altro lato dell’isolato. Per arrivare dai nostri nemici non abbiamo nemmeno dovuto atterrare a gomitate la gente che in genere staziona compatta davanti alla pizzeria sotto casa, che che pure aveva continuato ad accalcarsi imperterrita nelle due settimane precedenti.

Ora, sono certa che ognuno di voi almeno una volta ha frequentato l’Isola di sera. Io lo faccio regolarmente dal momento che ci abito, e vi assicuro che se non hai i tripli vetri è quasi impossibile dormirci la notte. Ma da giorni ormai non arriva l’urlo straziante della cameriera che chiama i tavoli dalla porta del locale, non si sentono i clacson abbaiare per un parcheggio rubato, nessuna macchina sui passi carrai, tutto è chiuso e in giro non si vede più un’anima. Neanche al mercato, giacché anche il mercato non esiste più.

Stranamente anche le auto in sosta sono in gran parte sparite, riportando alla luce tracce di asfalto a lungo dimenticate, quasi gli isolani avessero deciso in massa di rinunciare definitivamente all’auto, o di emigrare.

Insomma, l’altra sera mancava solo la nebbia, e potevi pensare di essere tornato indietro nel tempo. Prima di Porta Nuova e dei Boschi Verticali, prima dell’arrivo dei mille mila ristoranti, degli aperitivi e delle case a 7000 euro al metro quadro. Quando la sera tutto chiudeva, perché qui c’erano solo qualche bar, laboratori artigiani e tanti negozi di vicinato. Quando da piccola venivo a qui da altre città, e Milano per me erano solo i piccioni di piazza Duomo e la casa dei nonni, in un palazzo di primo Novecento che ora si direbbe di prestigio mentre all’epoca era solo la casa dei ferrovieri.

Ora che di nuovo tutto tace, le serrande sono abbassate, si potrebbe giocare a calcio in mezzo alla strada, ho la strana sensazione che il quartiere sia di nuovo nostro, ovvero di noi che ci abitiamo. Per un attimo ho sentito un po’ di nostalgia, forse sulla scia di quella improvvisata riunione di carbonari… poi ho ricordato l’effetto che mi faceva, bambina, l’Isola di allora e mi son detta “ma che cavolo”.

Ma ecco che sono arrivati i concerti dai balconi, la gente affacciata alle finestre e ai ballatoi delle case di ringhiera per un catartico momento corale, gli avvisi nei condomini e sulle social street di persone che si mettono a disposizione per portare la spesa a casa, per consulenze gratuite, per aiutare chi ha più bisogno. Come era naturale una volta, quando social significava due chiacchiere col vicino, quando tutti avevano poco ma chissà perché era più facile condividere, anche lo smarrimento e lo sconforto, perché no, anche questa è condivisione.

Quando tutto tornerà alla “normalità” ovvero ricominceremo ad accalcarci ogni sera nei locali, ad attendere ore in piedi su un marciapiede per una pizza ciancicando nell’attesa un panzarotto untuoso, a bestemmiare in turco alla ricerca di un parcheggio di frodo, mi piacerebbe in fondo che qualcosa di tutto questo ce lo portassimo dietro, le cose belle intendo, e che ce lo regalassimo ancora, ogni tanto, qualche giorno come una volta, quando tutto era più difficile ma stare a casa – con le finestre aperte e bambini intorno – non era solo una serata di ripiego.

Quest’anno sicuramente ci mancherà da matti il Fuorisalone. Ma anche il Fuoribalcone, quando non è un dovere, non è poi così male.